I professori della scuola secondaria San Giuseppe lanciano una sfida agli studenti...



Buongiorno ragazzi,
la proposta che vorremmo farvi in realtà è una cosa molto semplice, molto semplice ma non scontata.

Ci siamo posti una domanda: qual è la vera esigenza di questo momento per noi e per voi, per tutti?

La vera esigenza è quella di non farci ingannare, di non farci fregare dal fatto che adesso sembri tutto uguale, ogni giornata uguale all’altra. Ma ecco, il verbo è giusto: SEMBRA. Perchè in realtà i giorni, questi giorni, non sono tutti uguali, anche se può sembrare così. Non sono tutti uguali perchè se uno ci fa caso, all’interno di queste giornate, di ciascuna giornata, accade sempre qualcosa che ci sorprende. Almeno una al giorno vi assicuro che c’è.

C’è una poesia di Mariangela Gualtieri che dice:

È portentoso quello che succede.
E c’è dell’oro, credo, 
in questo tempo strano. 
Forse ci sono doni.
Pepite d’oro per noi. 
Se ci aiutiamo.

La nostra esigenza in questo momento è aiutarci a vedere e riconoscere quella cosa che ci sorprende all’interno di queste giornate, di questo “tempo strano”.  

Per aiutarci in questo, vi proponiamo per questa settimana di tenere traccia di quella cosa che vi sorprende all’interno della giornata, di quella pepita d’oro, di scrivervela per non dimenticarvela e se lo volete anche per poterla condividere con altri. 

La proposta è quella di tenere un Diario delle pepite d’oro. All’interno di questo diario potete raccogliere le vostre pepite, che sono quelle cose belle che vi sorprendono nella giornata, le vostre scoperte. Non è obbligatorio, è una proposta. Se poi ogni tanto qualcuno ha piacere di condividere qualche “pepita” lo potrà fare all’inizio delle webconference, noi insegnanti lasceremo spazio perchè chi vuole possa intervenire. 
Un’ultima cosa: perchè uno dovrebbe condividerle? 
Anche solo per il fatto che quella cosa che avete visto e scoperto voi, può essere di aiuto a qualcun altro, perchè cominci anche lui a scovare le sue pepite. E allora diventa un vero tesoro per tutti. 

Vi saluto e vi auguro una buona settimana.
Prof.ssa Rosignoli


Di seguito riportiamo la poesia citata di Mariangela Gualtieri














Nove marzo duemilaventi 
di Mariangela Gualtieri

Questo ti voglio dire
ci dovevamo fermare.
Lo sapevamo. Lo sentivamo tutti
ch’era troppo furioso
il nostro fare. Stare dentro le cose.
Tutti fuori di noi.
Agitare ogni ora – farla fruttare.

Ci dovevamo fermare
e non ci riuscivamo.
Andava fatto insieme.
Rallentare la corsa.
Ma non ci riuscivamo.
Non c’era sforzo umano
che ci potesse bloccare.

E poiché questo
era desiderio tacito comune
come un inconscio volere –
forse la specie nostra ha ubbidito
slacciato le catene che tengono blindato
il nostro seme. Aperto
le fessure più segrete
e fatto entrare.
Forse per questo dopo c’è stato un salto
di specie – dal pipistrello a noi.
Qualcosa in noi ha voluto spalancare.
Forse, non so.

Adesso siamo a casa.

È portentoso quello che succede.
E c’è dell’oro, credo, in questo tempo strano.
Forse ci sono doni.
Pepite d’oro per noi. Se ci aiutiamo.
C’è un molto forte richiamo
della specie ora e come specie adesso
deve pensarsi ognuno. Un comune destino
ci tiene qui. Lo sapevamo. Ma non troppo bene.
O tutti quanti o nessuno.

È potente la terra. Viva per davvero.
Io la sento pensante d’un pensiero
che noi non conosciamo.
E quello che succede? Consideriamo
se non sia lei che muove.
Se la legge che tiene ben guidato
l’universo intero, se quanto accade mi chiedo
non sia piena espressione di quella legge
che governa anche noi – proprio come
ogni stella – ogni particella di cosmo.

Se la materia oscura fosse questo
tenersi insieme di tutto in un ardore
di vita, con la spazzina morte che viene
a equilibrare ogni specie.
Tenerla dentro la misura sua, al posto suo,
guidata. Non siamo noi
che abbiamo fatto il cielo.

Una voce imponente, senza parola
ci dice ora di stare a casa, come bambini
che l’hanno fatta grossa, senza sapere cosa,
e non avranno baci, non saranno abbracciati.
Ognuno dentro una frenata
che ci riporta indietro, forse nelle lentezze
delle antiche antenate, delle madri.
Guardare di più il cielo,
tingere d’ocra un morto. Fare per la prima volta
il pane. Guardare bene una faccia. Cantare
piano piano perché un bambino dorma. Per la prima volta
stringere con la mano un’altra mano
sentire forte l’intesa. Che siamo insieme.
Un organismo solo. Tutta la specie
la portiamo in noi. Dentro noi la salviamo.

A quella stretta
di un palmo col palmo di qualcuno
a quel semplice atto che ci è interdetto ora –
noi torneremo con una comprensione dilatata.
Saremo qui, più attenti credo. Più delicata
la nostra mano starà dentro il fare della vita.
Adesso lo sappiamo quanto è triste
stare lontani un metro.