Percorso di lettura con Tatiana Kasatkina attraverso le “pietre d’inciampo”
Il 28 aprile scorso si è svolta la Video Conferenza con la Prof.ssa Tatiana Kasatkina a conclusione del percorso di lettura sul libro Harry Potter e la Pietra Filosofale, promosso dall’Associazione Il mondo parla, e noi sappiamo ascoltare? (www.ilmondoparla.com). L’associazione cura altresì corsi di analisi e approfondimento del metodo della Prof.ssa Kasatkina rivolti ad insegnanti della scuola secondaria di primo e di secondo grado.
Al percorso hanno partecipato le classi IA e IC della Scuola Secondaria San Giuseppe assieme ad altre classi della Scuola Padre Pio di Torremaggiore (FG) e della Scuola Tommasone Alighieri di Lucera (Fg).
La prof.ssa Kasatkina, filosofa, critico letterario e scrittrice, dirige il dipartimento di Teoria della letteratura presso l’Accademia delle scienze russa ed è autrice di diversi testi pubblicati anche in Italia.
La studiosa promuove il metodo di lettura e di indagine, da lei stessa denominato, “da soggetto a soggetto”, una sperimentazione che guida alla riscoperta del valore delle parole ed induce il lettore interprete ad approcciare il testo come fosse un “soggetto” con cui introdurre e sostenere un dialogo.
Attraverso una lettura “autentica”, ripetuta più e più volte, il lettore entra in armonia con il testo, si connette con esso e ad ogni approccio giunge ad un livello sempre più profondo di comprensione dei contenuti, anche i più latenti e non immediatamente manifesti, dell’opera scritta.
E così pian piano ci viene svelato quanto si nasconde al di sotto della superficie, tramite quelle che la studiosa definisce “pietre d’inciampo”, cioè quei dettagli, quei passaggi, in apparenza insignificanti, che tuttavia insinuano in noi dubbi ed interrogativi, quali: “perché l’autore ha usato proprio queste parole? E perché ha scritto così, ora”?
In questo cammino, in questo rito di lettura profonda, con i ragazzi delle nostre due classi, abbiamo potuto sperimentare che il testo, se veramente ascoltato, può dialogare con la nostra vita proprio a quel livello di cui noi abbiamo bisogno per essere noi stessi.
Inoltre, nel relazionarci con l’opera, nel cercare il suo “secondo piano” attaverso gli indizi, i rinvii, i sottintesi, i velati accenni e le allusioni presenti nel testo, abbiamo compreso che, oltre al nostro, vi sono diversi punti di vista e che ogni interpretazione è importante e degna di rispetto.
E’ stato un esercizio, oseremmo dire, coraggioso: in un momento di disorientamento, incertezza ed inquietudine, come quello che abbiamo vissuto e stiamo vivendo, la tentazione prevalente forse è quella di cercare conforto nella mitezza della superficie, piuttosto che sollecitare in noi stessi una profondità autentica.
Tuttavia è stato un esercizio vincente: lo dimostrano la gioia e l’entusiasmo dei nostri ragazzi nel prender parte, durante tutto l’anno scolastico, al loro “circolo ermeneutico” e la ricchezza e l’intensità dei loro elaborati.
A titolo di esempio, vi proponiamo di seguito un estratto del bellissimo lavoro di Caterina di I C sul gioco degli scacchi nel testo Harry Potter e la Pietra Filosofale, ma varrebbe la pena soffermarsi sulle relazioni di ognuno dei ragazzi.
Nell’augurare a tutti noi che questo viaggio continui anche il prossimo anno scolastico, vi lasciamo con le parole dell’Ulisse di A.L. Tennyson:
Venite amici, che non è tardi per scoprire un nuovo mondo.
Io vi propongo di andare più in là dell'orizzonte,
e se anche non abbiamo l'energia che in giorni lontani
mosse la terra e il cielo, siamo ancora gli stessi.
Unica, eguale tempra di eroici cuori,
indeboliti forse dal fato, ma con ancora la voglia
di combattere, di cercare, di trovare e di non cedere.
La prima volta il gioco degli scacchi compare nel Capitolo 12 – Lo specchio delle emarb:
Ron cominciò anche a insegnare a Harry a giocare a scacchi magici. Le regole erano esattamente come quelle degli scacchi babbani, tranne che i pezzi erano vivi, per cui diventava un po’ come comandare delle truppe in battaglia. La scacchiera di Ron era molto vecchia e malconcia. Come tutto quello che possedeva, anch’essa un tempo era stata di qualche membro della sua famiglia, in quel caso suo nonno. E tuttavia, giocare con dei pezzi vecchi non era affatto un problema: Ron li conosceva talmente bene che non aveva problemi a convincerli a fare quel che voleva lui.
Invece Harry ancora non era un bravo giocatore e i pezzi non facevano che gridare consigli contraddittori che finivano per confonderlo: «Non mi mandare da quella parte, non vedi che lì c’è il cavallo di quell’altro? Manda lui; lui possiamo permetterci di perderlo! »
In questa parte di testo ho notato che gli scacchi a Hogwarts sono uguali per regole agli scacchi dei Babbani (i nostri), ma diversi per svolgimento: i pezzi sono vivi e anche loro hanno il desiderio di vivere. In particolare i pezzi di Harry dicono: «Non mandare me, manda lui» e questo significa che non vogliono farsi “mangiare” perché hanno paura della morte. Tutti abbiamo paura della morte, ma dire che un altro deve morire e io devo vivere non è sicuramente una cosa bella. Però quando ci sembra l’unico modo per salvarci siamo tentati di dire: “Non mandare me, manda lui”.
Un’altra osservazione è che ogni scacchiera ha dei pezzi con caratteristiche diverse, in questo caso quelli di Ron sono obbedienti a lui, invece quelli di Harry sono testardi, vogliono fare quello che vogliono loro ovvero non farsi “mangiare”. Il comportamento dei pezzi dipende dal proprietario che li comanda e visto che gli scacchi non sono così tanto stupidi riconoscono che il giocatore non è sicuro, allora gli danno consigli cercando di “salvare la loro vita”.
Nel capitolo 16 – La botola, il gioco degli scacchi riguarda una delle prove che i ragazzi devono attraversare per raggiungere la Pietra Filosofale.
I tre ragazzi si trovavano sull'orlo di un’ enorme scacchiera, dietro ai pezzi neri, tutti molto più alti di loro e scolpiti in quella che sembrava pietra. Di fronte, all’estremità opposta del vasto locale, c’erano i pezzi bianchi. Harry, Ron e Hermione rabbrividirono: erano altissimi e privi di volto.
Ron si diresse verso un cavallo nero e tese la mano per toccarlo. D’un tratto, la pietra di cui era fatto prese vita, il cavaliere chinò il capo coperto dall’elmo per guardare Ron.
«Dobbiamo... ehm... dobbiamo unirci a voi per attraversare?» Il cavaliere nero annuì. Ron si voltò verso i suoi compagni. «Qua bisogna pensarci bene...» disse. «Credo che dovremo prendere il posto di tre pezzi neri...» Harry e Hermione rimasero in silenzio. Alla fine, Ron disse: «Be’, non vi offendete, eh, ma nessuno di voi due è molto bravo a scacchi...»
Ron cominciò a dirigere le mosse dei neri, che si spostavano silenziosamente seguendo i suoi ordini. A Harry tremavano le gambe: e se avessero perso? Il primo choc vero arrivò quando fu mangiato l’altro loro cavallo. La regina bianca lo sbatté a terra e lo trascinò fuori dalla scacchiera dove rimase immobile, riverso sul pavimento.
Ogniqualvolta perdevano un pezzo, i bianchi si mostravano spietati. Per due volte Ron si accorse appena in tempo che Harry e Hermione erano in pericolo. Nel frattempo, schizzava da una parte all’altra della scacchiera, mangiando tanti bianchi quanti erano i neri che avevano perso. «Ci siamo quasi» borbottò a un tratto. «Fatemi pensare... fatemi pensare». La regina bianca volse verso di lui la testa senza volto. «Sì...» disse piano Ron, «è l’unico modo... devo lasciarmi mangiare». «NO!» esclamarono Harry e Hermione. «Ma a scacchi è così!» tagliò corto Ron. «Bisogna sacrificare qualche cosa! Ora farò la mia mossa e lei mi mangerà... e tu sarai libero di dare scacco matto al re, Harry!» «Ma...» «Volete fermare Piton, oppure no?» «Ron...» «Sentite, dovete sbrigarvi o prenderà la Pietra!» Non c’era nient’altro da fare. «Pronti?» gridò Ron, pallido ma con aria decisa. «Io vado ... »
Ho osservato che i ragazzi hanno paura, loro sono piccoli e i pezzi grandi e alti.
Ron è il più bravo a scacchi e quindi prende in mano la situazione e la responsabilità di comandarli. Però prima chiede il parere di Harry e Hermione perché di solito è Harry che decide e se Harry ha difficoltà chiede a Hermione. La ripetizione frequente dei tre puntini di sospensione indica chiaramente che Ron è insicuro, perché spesso una cosa più piccola ha paura di una cosa più grande.
Ron per la prima volta comanda e quando si accorge che i suoi amici sono in pericolo li salva. Quando in pericolo c’è lui dice: «Sì...è l’unico modo... devo lasciarmi mangiare». “A scacchi è così!» «Bisogna sacrificare qualche cosa! »
Così si va a ripensare ai pezzi di Harry che gli dicevano di mandare un altro a morire. Invece Ron pensa che l’unico modo sia “morire” lui.
Un aspetto interessante da capire è quando Ron si sacrifica e ci chiediamo cosa ci guadagna rischiando la sua vita per quella dei suoi amici. Per me Ron facendo questo non guadagna qualcosa di materiale (tranne i punti per far vincere i Grifondoro), ma guadagna la consapevolezza di quanto essere vivi sia prezioso, perché è come se la vita raggiungesse l'obiettivo (vincere la partita di scacchi) e Ron la usa tutta in un momento (…).
Invece Harry ancora non era un bravo giocatore e i pezzi non facevano che gridare consigli contraddittori che finivano per confonderlo: «Non mi mandare da quella parte, non vedi che lì c’è il cavallo di quell’altro? Manda lui; lui possiamo permetterci di perderlo! »
In questa parte di testo ho notato che gli scacchi a Hogwarts sono uguali per regole agli scacchi dei Babbani (i nostri), ma diversi per svolgimento: i pezzi sono vivi e anche loro hanno il desiderio di vivere. In particolare i pezzi di Harry dicono: «Non mandare me, manda lui» e questo significa che non vogliono farsi “mangiare” perché hanno paura della morte. Tutti abbiamo paura della morte, ma dire che un altro deve morire e io devo vivere non è sicuramente una cosa bella. Però quando ci sembra l’unico modo per salvarci siamo tentati di dire: “Non mandare me, manda lui”.
Un’altra osservazione è che ogni scacchiera ha dei pezzi con caratteristiche diverse, in questo caso quelli di Ron sono obbedienti a lui, invece quelli di Harry sono testardi, vogliono fare quello che vogliono loro ovvero non farsi “mangiare”. Il comportamento dei pezzi dipende dal proprietario che li comanda e visto che gli scacchi non sono così tanto stupidi riconoscono che il giocatore non è sicuro, allora gli danno consigli cercando di “salvare la loro vita”.
Nel capitolo 16 – La botola, il gioco degli scacchi riguarda una delle prove che i ragazzi devono attraversare per raggiungere la Pietra Filosofale.
I tre ragazzi si trovavano sull'orlo di un’ enorme scacchiera, dietro ai pezzi neri, tutti molto più alti di loro e scolpiti in quella che sembrava pietra. Di fronte, all’estremità opposta del vasto locale, c’erano i pezzi bianchi. Harry, Ron e Hermione rabbrividirono: erano altissimi e privi di volto.
Ron si diresse verso un cavallo nero e tese la mano per toccarlo. D’un tratto, la pietra di cui era fatto prese vita, il cavaliere chinò il capo coperto dall’elmo per guardare Ron.
«Dobbiamo... ehm... dobbiamo unirci a voi per attraversare?» Il cavaliere nero annuì. Ron si voltò verso i suoi compagni. «Qua bisogna pensarci bene...» disse. «Credo che dovremo prendere il posto di tre pezzi neri...» Harry e Hermione rimasero in silenzio. Alla fine, Ron disse: «Be’, non vi offendete, eh, ma nessuno di voi due è molto bravo a scacchi...»
Ron cominciò a dirigere le mosse dei neri, che si spostavano silenziosamente seguendo i suoi ordini. A Harry tremavano le gambe: e se avessero perso? Il primo choc vero arrivò quando fu mangiato l’altro loro cavallo. La regina bianca lo sbatté a terra e lo trascinò fuori dalla scacchiera dove rimase immobile, riverso sul pavimento.
Ogniqualvolta perdevano un pezzo, i bianchi si mostravano spietati. Per due volte Ron si accorse appena in tempo che Harry e Hermione erano in pericolo. Nel frattempo, schizzava da una parte all’altra della scacchiera, mangiando tanti bianchi quanti erano i neri che avevano perso. «Ci siamo quasi» borbottò a un tratto. «Fatemi pensare... fatemi pensare». La regina bianca volse verso di lui la testa senza volto. «Sì...» disse piano Ron, «è l’unico modo... devo lasciarmi mangiare». «NO!» esclamarono Harry e Hermione. «Ma a scacchi è così!» tagliò corto Ron. «Bisogna sacrificare qualche cosa! Ora farò la mia mossa e lei mi mangerà... e tu sarai libero di dare scacco matto al re, Harry!» «Ma...» «Volete fermare Piton, oppure no?» «Ron...» «Sentite, dovete sbrigarvi o prenderà la Pietra!» Non c’era nient’altro da fare. «Pronti?» gridò Ron, pallido ma con aria decisa. «Io vado ... »
Ho osservato che i ragazzi hanno paura, loro sono piccoli e i pezzi grandi e alti.
Ron è il più bravo a scacchi e quindi prende in mano la situazione e la responsabilità di comandarli. Però prima chiede il parere di Harry e Hermione perché di solito è Harry che decide e se Harry ha difficoltà chiede a Hermione. La ripetizione frequente dei tre puntini di sospensione indica chiaramente che Ron è insicuro, perché spesso una cosa più piccola ha paura di una cosa più grande.
Ron per la prima volta comanda e quando si accorge che i suoi amici sono in pericolo li salva. Quando in pericolo c’è lui dice: «Sì...è l’unico modo... devo lasciarmi mangiare». “A scacchi è così!» «Bisogna sacrificare qualche cosa! »
Così si va a ripensare ai pezzi di Harry che gli dicevano di mandare un altro a morire. Invece Ron pensa che l’unico modo sia “morire” lui.
Un aspetto interessante da capire è quando Ron si sacrifica e ci chiediamo cosa ci guadagna rischiando la sua vita per quella dei suoi amici. Per me Ron facendo questo non guadagna qualcosa di materiale (tranne i punti per far vincere i Grifondoro), ma guadagna la consapevolezza di quanto essere vivi sia prezioso, perché è come se la vita raggiungesse l'obiettivo (vincere la partita di scacchi) e Ron la usa tutta in un momento (…).
Caterina comprende che ciò che Ron guadagna con il proprio sacrificio è il significato della sua vita, come rileva la Professoressa Kasatkina. “Si può dire che è questa conquista, questo senso, che l’uomo ottiene dal sacrificare se stesso, quello che lo distingue dalle figure degli scacchi di pietra? Le cose cercano di conservare la loro vita proprio perché sono finite. Mentre l’uomo sacrifica se stesso perché con questo sacrificio gli spalanca una vita più potente, più grande”, commenta infine la Professoressa Kasatkina.
Caterina, aiutata dalle riflessioni della Professoressa sulla sua relazione, intravede dunque il secondo piano che si cela in questi intensi capitoli: “Non dobbiamo avere paura della morte perché dopo la morte c’è un’altra vita: quella eterna”.