Come piccoli veri scrittori... I racconti degli studenti della 2A della scuola secondaria San Giuseppe


Durante le ore di narrativa la classe 2A della scuola secondaria ha scoperto i racconti di avventura, facendo nascere una passione nei ragazzi che li ha portati a creare un contest in classe.  
Ognuno ha creato il suo racconto avventuroso, seguendo i canoni e le linee guida studiate.

Ogni racconto è stato letto in classe ed è stato giudicato dagli altri ragazzi.
Qui trovate i disegni che i compagni hanno eseguito mentre venivano letti, a dimostrazione che 
quanto i ragazzi avevano scritto poteva essere ben immaginato. Come piccoli veri scrittori...



1^ classificato


Sogno tra le vette (dal diario di JOHN)


Sono le sei di mattina e la mia sveglia suona ininterrottamente, allora mi decido ,do fine a questo strazio e finalmente la spengo. Oggi è il giorno in cui mi aspetta una grande avventura, una grande sfida: raggiungere la cima del K2: una montagna maestosa, ma delicata nella sua bellezza. Allora esco dalla tenda nel primo bivacco e trovo con sollievo i miei compagni di viaggio, i miei amici John e Louis; con loro siamo amici dall’inizio delle scuole elementari e niente ci ha mai diviso! Allora le danze si aprono con il primo passo verso quella vetta che non riusciamo neppure a scorgere.
È ormai passata una settimana di trekking e scalate, tra soste e tappe, e stiamo finalmente per raggiungere la nostra ambita meta; le cose però sono sempre più difficili perché anche se ci siamo allenati per diversi anni per affrontare questo mostro di roccia, quello che
conta è soprattutto la mente. Infatti Luis non ha retto perché in mancanza di ossigeno e con così tanta fatica stava veramente per uscirne pazzo. Siamo rimasti quindi solo John ed io, Louis è tornato indietro.
Ora però siamo arrivati alla parte più difficile, l’ultima scalata, la più ripida e la più pericolosa; però tra poco lassù c’è il nostro più grande sogno, la vetta del K2; quindi impavidi decidiamo di fare gli ultimi sforzi. “Insegui il tuo sogno”, queste sono state le ultime parole di John, un uomo così calmo e ingenuo, fragile ma con una determinazione presente solo in pochi. Sì,... John è morto,caduto in un crepaccio, vicino a me..
Sono ormai al nono giorno e sono rimasto da solo, qui, ancora su questa montagna infernale, che mi ha portato via la cosa più importante che un essere umano possa avere: un amico. Ma ricordando le sue parole ce l’ho fatta, ho finalmente raggiunto la vetta, e in
questo momento non riesco a descrivere quello che provo, una sensazione particolarmente magica, perché ho le nuvole sotto i piedi, e le cime delle montagne che mi circondano sono più basse di me. 
Con le vesciche ai piedi cado in ginocchio, poi con lacrime di felicità e dolcezza, mi sdraio, chiudo gli occhi e penso a quanto possa essere importante la vita, di John, della montagna o degli animali che la abitano. Poi mi addormento stremato per riposare in pace e….. in eterno….
Addio.
Matteo






2^ classificato


La grande impresa


Ho sempre amato viaggiare e esplorare posti nuovi, ma il viaggio che ha cambiato la mia vita è sicuramente quello fatto in Turchia quando avevo vent’anni. Ero giovane e cercavo un lavoro per mantenermi. Fortunatamente un giorno lo trovai: una persona che doveva traslocare aveva bisogno di una mano per spostare i mobili e dunque iniziai a caricare oggetti di ogni tipo e forma su un camion. 
Il signore mi disse di andare in soffitta per togliere gli ultimi oggetti rimasti. Dopo quattro faticose rampe di scale raggiunsi la vecchia porta malandata. Nascondeva uno spazio enorme pieno di mobili pesantissimi. Mentre provavo a muoverne uno, proprio sui miei piedi cadde un giornale, accompagnato da una nuvola di polvere. In prima pagina compariva la scritta “Un tesoro si nasconde nel cuore dell’isola di
Tavasan Adasi”. Istintivamente misi il giornale in tasca e continuai con il mio lavoro; mi sarei concentrato sul curioso titolo più tardi.
Ormai distrutto portai a termine il mio lavoro e con grande soddisfazione intascai il meritato denaro. 
Soddisfatto tornai a casa. Non vedevo l’ora di raccontare al mio amico e coinquilino Jack del mio ritrovamento. Jack lavorava come chef in un piccolo locale nascosto nella città di Pantanagianni dove non succedono cose emozionanti come quella accaduta a me; ero certo sarebbe stato euforico. Jack però deluse le mie aspettative e si dimostrò contrario alla mia proposta di avventura. La scelta di un nuovo compagno allora ricadde immediatamente su Antonio, uno dei miei più cari amici. Era un tipo molto solare e divertente, dalla carnagione scura, la corporatura robusta e gli occhi marroni molto vivaci.
 Accettò senza pensarci due volte. Ora mancava solamente un terzo membro che completasse la “squadra di spedizione”. Decidemmo di chiedere a Vincenzo, un ragazzo dal viso minuto, gli occhi e la carnagione chiari, molto intelligente e astuto. Emozionati iniziammo ad organizzare i preparativi per la partenza: comprammo i biglietti e preparammo le valige. Tutto era pronto e, pieni di speranza, ci imbarcammo sull’aereo. L’atterraggio fu sicuramente la parte più spaventosa, ma superato quel momento la gioia di iniziare un’avventura prese il sopravvento. L’isola era inaspettatamente deserta, faceva freddo e l’unica forma di vita esistente sembravano essere gli alberi di una piccola giungla che si affacciava sul mare. Zaini in spalla , ci addentrammo nella foresta. Non volevo ammetterlo ma da un po’ di tempo ormai iniziavo a percepire qualche brivido di paura anche se sapevo di non poter mostrare segni di indecisione. Proprio per questo motivo iniziai a fare strada in mezzo gli alberi. 
Nel cuore della foresta incontrammo una collina talmente ripida da sembrare una montagna. In cima a questa si poteva intravedere una caverna ornata da pietre preziose. La scalata del piccolo monte sembrava un gioco da ragazzi al solo pensiero di poter diventare ricchi. Il sole però non era dalla nostra parte infatti stava calando la notte e per questo decidemmo di accamparci. Trascorremmo una nottata tranquilla e ci addormentammo subito cullati dai suoni della natura. Il giorno seguente, carichi grazie alla riposante serata precedente, riuscimmo senza molti sforzi, come preannunciato il giorno prima, a scalare la collina. Riuscimmo così a raggiungere la luminosa caverna. All’ingresso, come avremmo potuto prevedere, trovammo due grandi e forti guardie. Non fu però difficile distrarle, infatti lanciando dei sassi facemmo rumore dalla parte opposta alla
nostra e, nel momento più opportuno, cioè quando le guardie si allontanano per controllare, sgattaiolammo dentro. All’interno ci attendava una stanza completamente tappezzata d’oro al cui centro si trovava una scatola di marmo con i bordi rifiniti in argento. Il prezioso tesoro era protetto da quello che sembrava un vecchio chef. Era alto almeno due metri, aveva un grembiule sporco, emanava un terribile odore e metteva davvero molto timore. Dovevamo escogitare velocemente un piano e tutto ciò che ci venne in mente fu di usare Vincenzo come esca, essendo il più veloce, Antonio come palo ed infine io avevo il compito di recuperare lo scrigno. Tutto andò per il meglio se non che lo chef iniziò ad inseguirci fino all’uscita della grotta. Arrestò la sua corsa quando stava per superare la soglia della caverna: a quanto pareva non poteva uscire da quel luogo misterioso. Con tutto il sollievo che questa scoperta ci procurava, tornammo all’aeroporto. La curiosità era troppa e decidemmo di aprire la scatola nella sala d’attesa deserta. Con molta delicatezza
sollevai il coperchio e…non potevo credere ai miei occhi: nella scatola c’era un panino dall’aspetto davvero delizioso e non potemmo che mangiarlo tutti insieme. Era davvero il miglior panino che avessi mai mangiato. Non potevamo permettere che in Italia non fosse assaggiato. Così decidemmo di aprire il nostro ristorante e riscuotemmo subito un gran successo. Il nostro panino a base di carne arrostita, che originariamente si chiamava “la grande impresa”, divenne famoso in tutto il mondo con il nome di “kebab” e probabilmente ancora adesso spero sia sulle vostre tavole.
Diego




3^ classificato 


Il lago misterioso


Lucia era una ragazzina che viveva con la sua numerosissima famiglia, nella piccola città di
Walnut Grove. Era minuta, dolce e gentile. Aveva dei brillanti occhi color nocciola, i lunghi capelli castani e una piccola bocca dalle labbra rosee.
Lucia aveva cinque sorelle e due fratelli maggiori. Tutti lavoravano e non si occupavano di lei; forse per questo aveva sviluppato una fervida fantasia e, chiusa nella sua cameretta, inventava storie con personaggi fantastici. Aveva fortunatamente due grandi amiche: Anna e Cecilia. Anna era una bambina esile, delicata e generosa, con due occhi marroncini e i capelli come i raggi del sole. Cecilia era molto vivace, sempre allegra ed energica, si arrabbiava contro ogni ingiustizia e avrebbe fatto di tutto per difendere la sua famiglia e le sue amiche. Gli abitanti di Walnut Grove, stavano vivendo un triste periodo: c’era una carestia e si stava diffondendo una brutta malattia.
Molti dei fratelli di Lucia stavano male e i genitori, per la loro età, non potevano lavorare i campi, così lei si impegnava per aiutare la famiglia. Nei rari momenti liberi si recava al laghetto del suo giardino con le sua amiche. Quel luogo era adatto per scacciare via i brutti pensieri e per giocare. Era un laghetto luccicante, con l’acqua più limpida del paese. Sul bordo si ergeva un imponente salice piangente, dal quale pendeva un’ altalena.
Le tre amiche si divertivano a giocare con l’acqua, a pescare, ad acchiappare le rane e a volare sull’altalena. Un giorno, quel posto sempre pieno di felicità, fu purtroppo immerso nella malinconia; la
malattia si diffondeva sempre di più, attaccando tutte le persone possibili, come la madre di Cecilia e i tre fratelli di Anna.
Quel giorno c’era un silenzio di tomba, le tre amiche non riuscivano ad aprire bocca ed erano timorose nel pensare a quel che sarebbe accaduto. Ad un tratto vennero attirate, come per magia, verso il laghetto; si specchiarono e videro alberi giganti, surreali che pendevano dalla superficie dell’acqua.
Era una cosa che non si vedeva tutti i giorni, così decisero di immergersi in quel mondo alla rovescia e persero conoscenza. Dopo qualche minuto vennero risvegliate da un vento freddo, ma allo stesso tempo, caldo. C’era una pesante nebbia che ricopriva tutti quei maestosi alberi, non si riusciva bene a
distinguere che clima ci fosse o che periodo dell’anno potesse essere, ma soprattutto: dov’erano finite?
Si avventurarono in quella foresta sconosciuta, finché Anna scorse una luce fioca che scendeva dal cielo, lieve come un fiocco di neve: era un fantastico cavallo bianco immacolato, che avanzava silenzioso verso di loro.
Quando si posò a terra, le tre amiche riuscirono a malapena ad ammirare il suo manto, che quasi le accecava e le sue ali, che davano un senso di sicurezza e forza. Il cavallo si chiamava Biancomanto ed era il capo dell’esercito di questo paese fantastico e raccontò alle bambine che anche il suo popolo stava vivendo un tragico momento in quanto era attaccato dal terribile Re Giacomo, un uomo avaro ed egoista, che voleva impossessarsi di questo territorio dove le bellissime creature che lo abitavano vivevano felici e pacifiche. Giacomo aveva una cinquantina d’anni, ma ne dimostrava di più, il suo volto era deforme con grosse sopracciglia aggrottate , gli occhi verdi erano quasi nascosti dalle rughe della fronte e i suoi capelli biondi erano corti e ispidi; lo caratterizzavano una gobbetta sulla schiena e il passo zoppicante; in poche parole un uomo orribile. Le tre bambine si fidarono ciecamente del racconto di Biancomanto e lo seguirono fino ad un accampamento con delle tende indiane bellissime. Videro animali e persone fantastiche: c’erano elfi alati, nani, qualche gigante e delle creature stranissime come farfalle enormi, leoni con la testa d’uomo, ...
Erano tutti decisi, pronti a combattere, non per loro stessi, ma per la salvezza del popolo. Le tre amiche che appena arrivate ad Acus si sentivano agnellini, ora erano leonesse coraggiosissime. Cecilia chiese, giustamente, come mai erano state chiamate in quel luogo proprio loro; Biancomanto rispose che tutte loro avrebbero dovuto imparare una lezione da raccontare ai loro cari. Cecilia, Anna e Lucia vennero accolte molto bene, mangiarono uova a colazione, carne a pranzo e verdure a cena, dei pasti che la gente come loro si poteva permettere col lavoro di una settimana; si fecero molti amici da cui impararono tante cose del paese. Qualche giorno più tardi iniziarono gli attacchi dell’esercito di Re Giacomo; il suo esercito era formato da troll enormi, uomini e animali mostruosi. Gli Acusiani erano in numero minore rispetto agli altri, ma tanto valorosi da riportare subito una vittoria.
Non si capiva come però Re Giacomo riusciva ad aumentare continuamente il numero di quei mostri.
Per questo la battaglia durò diversi mesi e intanto Cecilia, Anna e Lucia capirono come attaccare e come difendersi. Cecilia aveva imparato a cavalcare, così le venne donato un meraviglioso cavallo dal manto nero lucido, con una macchia bianca sul muso; era il cavallo più veloce di Acus, e si
chiamava Last. Anna, avendo una voce squillante, fu nominata comandante di una parte della cavalleria.
Lucia imparò ad usare l’arco e aveva una mira eccezionale. Per la battaglia decisiva vennero chiamate anche loro a combattere ,oltre a gran parte delle creature. I due regni erano schierati uno davanti all’altro e parve trascorresse un tempo eterno prima che si scontrassero nella mischia. Erano tutti concentrati sugli avversari; ci saranno state migliaia di creature, ma comunque regnava un silenzio spettrale. La battaglia partì all’improvviso. All’inizio gli Acusiani ebbero la meglio, ma Re Giacomo dimostrò una forza disumana che incoraggiò il suo esercito; gettavano massi enormi e ai mostri colava la bava dalla rabbia. Gli Acusiani erano sfiniti e stavano per essere schiacciati dai nemici, quando le tre bambine vennero riempite di forza e scagliarono contro Re Giacomo tre frecce, conficcandole sulla
sua fronte. Giacomo cadde a terra con un tonfo che sembrava di un bue. I nemici intimoriti vennero sterminati dalla popolazione fantastica, che vinse con gioia. Quando le tre bambine tornarono a casa loro, Walnut Grove, trovarono una situazione completamente cambiata, la malattia era scomparsa e le persone sorridevano di nuovo. Fu come se la battaglia da loro combattuta in quel mondo fantastico avesse vinto anche la sofferenza della loro terra, nella quale non si sa come, d’incanto erano ripiombate.
Le tre amiche impararono che non bisogna aver paura contro i grandi pericoli, ma affrontarli con coraggio e senza arrendersi per aiutare le persone care.
Maria Teresa